Giuseppemmaria

Nel tentativo di ricostruire la mia genealogia familiare, ora che ho superato il mezzo del cammin di nostra vita e mi sembra importante conoscere le mie radici, mi sto occupando del ramo materno di quell’albero antico. E siccome i miei antenati di quel ramo sono nati quasi tutti a Spaccaforno, sto spulciando con molta pazienza i registri che generosamente l’Archivio di Stato di Ragusa, aderendo a un’iniziativa del Ministero ai Beni Culturali, sta via via mettendo a disposizione online. Così ieri sera mi sono imbattuta in un grazioso quadretto che mi fa piacere raccontare. Cercando ipotetici fratelli o sorelle della mia bisnonna, ne ho adocchiato uno che non sapevo fosse esistito: Antonino (dico il suo nome perché tanto ho visto che si chiamavano più o meno tutti così). Antonino sposò una cugina, Dorotea, e allora mi sono chiesta, lanciandomi come un uccello da un ramo a un altro: e chi era questa Dorotea?, l’ho cercata e ho visto, in un giorno freddo di Febbraio di diciassette anni prima, nell’ultimo scorcio del secolo XIX, i giovani genitori di Dorotea come una coppia coraggiosa che, contravvenendo all’usanza di inviare l’ostetrica a dichiarare la nascita, si recava al Comune a far registrare una nascita avvenuta quattro giorni prima. Il padre “di anni trentaquattro”, dichiarava che dalla sua “unione naturale” con la madre di Dorotea, “di anni venti, non coniugata”, era nata questa bambina “di sesso feminino”, la cui nascita dovettero interpretare come un “dono del cielo”, visto che la chiamarono proprio con un nome che ha questo significato. Da una notazione successiva, apprendo che sei anni dopo i due giovani genitori si sposarono. Ma cosa avvenne nel frattempo? Avvenne che quattro anni dopo la nascita di Dorotea (quindi due anni prima del matrimonio) nacque un’altra creatura di sesso maschile: stavolta era una calda mattina estiva, e a denunciare la nascita fu l’anziana levatrice. Giusto giusto, però, in quel periodo il sindaco era assente, e qualcuno dovette fare le sue veci con un certo impaccio, anche perché i bambini da dichiarare erano due, tutti e due presenti, uno in braccio alla levatrice e l’altro in braccio a chissà chi, ma non vi è dubbio che per qualche ragione quelle operazioni furono fatte di fretta e si conclusero prestissimo: un bambino venne registrato “alle ore anti meridiane nove e minuti quaranta”, e l’altro “alle ore antimeridiane dieci”. E così “l’Assessore delegato funzionante da sindaco in mancanza del titolare”, chissà quali altri pensieri gli occupavano la testa e sbadatamente certificò il nome di Maria per tutti e due i bambini. Ci vollero due anni prima che, in occasione delle pubblicazioni del matrimonio dei due genitori di Dorotea, l’ufficiale di stato civile (che stavolta era il sindaco a tutti gli effetti) si accorgesse che il fratello di Dorotea, dichiarato in quella lontana mattina di giugno era “di sesso mascolino” e si sarebbe dovuto chiamare Giuseppe, non Maria. Dovette esserci un’onda di panico e tale fu la confusione seguente, che di fretta fu fatta l’annotazione di correzione, e anche stavolta si sbagliò ad identificare il bambino tanto che l’annotazione di correzione fu fatta nel riquadro superiore, che era l’atto di nascita di una creatura nata due giorni prima. Un altro bambino che di suo si chiamava già Giuseppe e gli fu aggiunto Maria, mentre invece il fratello di Dorotea continuava nel registro a chiamarsi Maria e non c’era stato verso di convertirlo in Giuseppe. Al che l’ufficiale dell’anagrafe dovette aggiungere ancora un’altra notazione: e cioè che quella scritta sopra era da riferirsi al bambino seguente, che era sì un bambino, Giuseppe, ma risultava col nome di una bambina, Maria. A questo punto mi sono ritrovata a cavalcioni su un ramo dell’albero genealogico di chissà chi, dimentica pure del mio stesso nome, ma ben consapevole di stare fischiettando sotto al cielo che fu dei miei avi, in Spaccaforno.

© Daniela Thomas