“La situazione era assurda, ne converrai. Il posto, la stanza
scrostata di una sacrestia obsoleta, e quella specie di vecchia
lanterna che diffondeva un incerto chiarore.”
Lorenzo rimase
in silenzio e, per tutta risposta all’affermazione che aveva
sentito, sollevò dalla scrivania il fascicolo, continuando a
leggere.
Per essere più esplicito alzò i fogli fin sopra le
ciglia, evitando ogni possibilità di contatto visivo con il suo
collaboratore Antonio, che era entrato nell’ufficio pronunciando la
frase ad effetto. Era chiaro l’intento di aprire il discorso su
quanto era accaduto il giorno prima.
Antonio capì che quella
finta immersione nella lettura, da parte del suo capo, non
preannunciava nulla di buono e temette per le conseguenze.
Era
il giorno seguente alla chiusura del meeting sulla pianificazione
dell’annualità entrante della En&Co, quello in cui Lorenzo
avrebbe redatto il consuntivo che comprendeva, fra le altre cose, la
scelta per la nomina del suo Vice in sede.
Tutti gli anni la direzione centrale della En&Co convocava i suoi
funzionari presso il “Baglio Moncada” per la consueta
convention.
Il vecchio Baglio di epoca feudale sorgeva in
collina, nel sud della Sicilia Orientale tra Ispica e Pachino. Era
stato recuperato attraverso un sobrio restauro che aveva restituito
magnificenza alla pietra tufacea con cui erano costruiti gli edifici:
nei giorni di sole risaltava orgoglioso tra le palme e gli ulivi, e
dalle terrazze era possibile ammirare le geometrie dei filari di
vigna che degradavano lentamente raggiungendo il mare. Il baglio era
stato trasformato in un evoluto agriturismo con aree adibite ad uso
congressuale e, anche grazie al buon vino prodotto, aveva ottenuto un
discreta pubblicità sulla stampa di settore. In quei giorni tutta la
struttura era stata riservata ad ospitare i dipendenti della En&Co
i quali a loro volta avrebbero potuto portare con sé i familiari ,
il tutto a carico dell’Azienda. Le riunioni di lavoro , durante la
tre giorni, venivano svolte soltanto al mattino, mentre il resto
della giornata ognuno era libero di goderselo come meglio credeva.
La
particolare collocazione geografica del Baglio consentiva infatti
l’agevole raggiungimento di varie località di interesse turistico
culturale anche se, in molti, preferivano rimanere dentro la
struttura stessa che offriva numerose possibilità di svago: da
quello sportivo a quello ricreativo, fino a comprendere l’utilizzo
gratuito di numerosi servizi del centro benessere.
Antonio osservò l’immobilità del suo diretto superiore, poi,
tentò ancora di agganciare la sua attenzione “Sei ancora
arrabbiato?” .
Lorenzo girò pagina nell’incartamento,
pensando che in un altra circostanza si sarebbe divertito a cavillare
nel far notare ad Antonio che una Sacrestia con molte difficoltà può
essere definita obsoleta, ma lasciò correre la definizione che gli
sembrava impropria, insieme all’altra imprecisione sulla vecchia
lanterna, perché lui sapeva bene che, ad essere acceso in
sacrestia, invece, era un lume.
“Lo so, Lorenzo, sono stato
inopportuno. Ma non potevo immaginare minimamente che …”
insistette Antonio.
“E’ andata. Ora mi useresti la cortesia
di andartene anche tu? Ho da fare.” Finalmente, dopo quasi
ventiquattro ore dall’accaduto, Lorenzo degnò il suo collega di un
cenno. E, anche se si era trattato di un invito a togliersi dalle
scatole, Antonio tirò un sospiro di sollievo.
Avanzò nella
direzione della scrivania del capo, dicendo “Ti sto disturbando
così tanto?” Accennò ad un timido sorriso che gli sfiorì sulle
labbra quando, per tutta risposta, vide volare un oggetto non meglio
identificato a pochi centimetri dalla sua testa.
“Azz!”
borbottò Antonio, mentre ritraeva il collo nell’alzare le spalle.
Infine, trattenne il fiato e imprigionò il “Vaffanculo”
che stava per scappargli di bocca. Pensò che quella reazione era
davvero spropositata, fuori dallo stile del suo superiore. Poi,
rassegnato si avviò, convinto che, in fondo, ancora più assurda era
stata la situazione in cui si erano ritrovati nel giorno precedente.
Quindi, ritornò nel corridoio, respirò profondamente e raccolse da
terra la gomma per matita che lo aveva sfiorato poco prima. Guardò
nella direzione dell’angolo dove era situata la macchinetta
automatica per il caffè e mulinò la mano a mezz’aria nella
direzione di Ugo che sorseggiava la bevanda, nell’attesa di sapere
quali novità vi fossero nella faccenda che riguardava i suoi due
colleghi. Antonio aveva precedentemente accennato ad Ugo che aveva
avuto qualche problema con Lorenzo.
Vedendo la faccia
sconfortata di Antonio, Ugo inserì la chiavetta nel distributore
automatico di bevande e pigiò il pulsante del caffè
decaffeinato.
In silenzio lo porse ad Antonio e poi con un filo
di voce chiese “Cosa ti aspettavi?”
“Niente. Ma, ti giuro
che ieri sono andato via senza esasperare gli imbarazzi.”
“Ti
credo, Antonio” disse Ugo “Ma, se Lorenzo è incazzato nero,
evidentemente qualcosa di grave sarà accaduto.”
“Questa non
ci voleva” sussurrò Antonio “vedrai che nominerà te come suo
Vice per quest’anno.”
“Non sia mai. Ma cosa vai a pensare?
Lo sai bene che io non ho nessuna intenzione di sostituirti e, poi,
anche lui dovrebbe rendersi conto che sono incasinato di mio, al di
là del lavoro.”
“Lo so. Lo so Ugo, ci mancherebbe. Comunque
credo che stavolta Quello me la farà pagare cara. Per
contro, tu valuta l’aspetto interessante della faccenda: ti
toccherà intascare cinquecento euro di bonus mensile. Ti
dispiacerà?”
“Non fare lo stronzo, Antonio. Lo sai che non
sono i soldi ciò che possono cambiarmi l’esistenza. Ma, purtroppo
credo che se ciò accadrà, non avrò la possibilità di contrariare
la sua decisione. Sai com’è fatto.”
“Sì, lo so. Per
questo penso che ti darà l’incarico.”
Ugo gettò il
bicchiere nel contenitore per i rifiuti. Altrettanto fece Antonio,
mentre entrambi riflettevano in silenzio.
“Come ti saresti
comportato al posto mio?” chiese Antonio.
“Ieri? Chi può
dirlo. Per come mi conosco non sarei nemmeno entrato in quella
chiesetta. Ma, più esattamente, che cosa è successo?”
“Cosa
è successo? Cosa è successo? Ti ho detto che non mi era sembrato
vero di trovare socchiusa la porticina laterale della chiesa. Negli
anni scorsi avevo provato più volte a visitare quell’ambiente e mi
era stato detto che la chiesetta era momentaneamente utilizzata come
deposito, nell’attesa di poter affrontare i costi necessari per il
restauro.”
“Vieni” disse Ugo “sediamoci nel mio
ufficio”
“Hai ragione. Togliamoci da qui.”
Entrarono
nell’ufficio di Ugo. Sederono nelle poltrone.
“Tu e la tua
curiosità per l’arte. Sei entrato, e quindi?” chiese
Ugo.
“Quindi, l’odore di nuovo mi investì le narici. Dentro
era quasi al buio perché stava per tramontare e gli scuri dell’unica
finestrella in alto erano socchiusi. La stanza era spoglia, il
pavimento probabilmente era stato levigato da poco. Non c’erano le
panche, né gli inginocchiatoi, neppure il confessionale. Nella
chiesetta non c’era nessun mobile, rimaneva soltanto un altare in
pietra. Puoi immaginare il mio stupore quando mi sono reso conto che
nella parete dietro all’altare c’era un drappo bianco.”
“Un
lenzuolo che copriva il Crocifisso?”
“No. Mi avvicinai e
sollevando il telo ho visto che si trattava di un
quadro.”
“Alè!”
“Alè. Già. Ero in
fibrillazione.”
“Ti conosco, posso immaginarlo.”
“Tirai
leggermente il lenzuolo e venne giù, come non desiderasse altro che
svelarmi una meravigliosa rappresentazione di San Giovanni, mentre
sul Giordano battezza Gesù.”
Antonio fece una pausa, per
raccogliere mentalmente la scena rappresentata e poi continuò “Mi
colpì immediatamente l’inusualità della raffigurazione: in genere
nell’iconografia tradizionale la scena del battesimo è
rappresentata con Giovanni che versa l’acqua sul capo di Nostro
Signore, ed entrambi sono alzati, con i piedi immersi nel fiume.
Invece, nella scena che mi trovai davanti il pittore aveva messo in
primo piano la figura di Giovanni e il Battezzato era inginocchiato
ai suoi piedi. Pensai che era fantastica quell’interpretazione. In
quel quadro c’era, prepotentemente, tutta la simbologia della
devozione ai Santi Patroni che in certi paesi della Sicilia supera la
venerazione del Cristo.”
“Capisco.”
“Infatti, quel
San Giovanni era impressionante. Il suo sguardo severo era un monito
rivolto verso chiunque si trovasse al suo cospetto, da spettatore.
Così come ero io in quel momento. Una volta entrato in contatto con
quello sguardo tutto il resto del quadro ha perso la sua
importanza.”
Ugo osservava i gesti minimi delle dita nella
mani di Antonio.
Antonio sembrava essere entrato in uno stadio
mistico di coscienza, con le palpebre abbassate sotto le quali era
possibile intuire i movimenti a sbalzi della pupilla.
Dopo un
po’ di silenzio Antonio riprese a parlare “Ho provato una forte
suggestione. Le mie labbra involontariamente si muovevano in una
silenziosa ricerca delle parole per una preghiera che non riuscivo a
trovare. Fu allora che feci qualche passo indietro, chiusi gli occhi
e pensai che era assurdo quello che stava accadendo là dentro, nella
piccola chiesa.
Sbarrai lo sguardo e provai a mettere a fuoco il
resto del quadro, evitando di incontrare nuovamente gli occhi severi
di San Giovanni. Intorno a me lo scuro oramai era quasi totale e fu
in quel momento che tornai pienamente consapevole, vedendo una
striscia di luce che filtrava sotto la porta al lato
dell’altare.
Diedi un ultimo sguardo al quadro e San Giovanni
non mi fece più impressione.
Mi avvicinai, con un senso di
liberazione nel petto, alla porta di quella che immaginai essere
stata la sacrestia. Aprì lentamente e immediatamente percepii un
intenso profumo di cocco. In quella stanzetta il buio era sormontato
da una debole luce, di fiammella accesa.
A sinistra riconobbi i
banchi della chiesa che erano accatastati fino a raggiungere
l’altezza del soffitto. Mentre, di fronte a me c’erano altri
mobili addossati alla rinfusa alla parete non ancora restaurata. In
basso ardeva la fiammella di una vecchia lanterna.
La situazione
mi sembrò paradossale. Mi stavo chiedendo a chi, a cosa, servisse
quella lucetta accesa quando mi accorsi che nella parte sinistra
della stanza, dietro un ripiano, poteva esserci la rappresentazione
tridimensionale della scena che poco prima avevo visto dipinta nel
quadro.
Guardai meglio e credetti di riconoscere una scultura:
le stesse statue che per anni avevano percorso le vie per la
processione. La luce tremula mi permetteva appena appena di
riconoscere la nudità nel petto del Battista, e la sua mano sulla
testa del battezzato. Un forte brivido mi tagliò la schiena in due
e, inginocchiandomi anche io, recitai a mezza voce l’unica
preghiera che finalmente la memoria mi restituì: il Padre
Nostro.
Quando ebbi finito, mi rialzai e fattomi il segno della
croce avvertì una levità liberatoria. Ero finalmente in sintonia
con il luogo e con San Giovanni. Quella preghiera mi aveva regalato
il mistero legato alle rappresentazioni sacre e la situazione lì
dentro non era affatto assurda: comprendevo come mai qualche
individuo era devotamente legato a quelle statue, tanto da tenere
costantemente accesa una fiammella votiva. Dentro me sentivo
l’eternità della vita scorrere e mentre una lacrima mi scendeva
sul volto, capivo che la vita scorreva eterna anche dentro le statue.
Capisci? Grazie alla preghiera loro erano esseri viventi.”
Le
dita di Antonio si fermarono. Rimase in silenzio per molto tempo.
Ugo
cambiò posizione sulla poltrona, sperando che il suo collega si
svegliasse dal trans mistico in cui sembrava caduto. Era impaziente
di sapere cosa successe dopo. Chiese “Quindi?”.
Antonio
schiarì la voce e guardò dritto in faccia il suo collega. “Quindi.
Quindi respirai profondamente e riconobbi l’odore. Era di olio
abbronzante!”
“Olio abbronzante?”
“Sì. Profumo di
cocco. Affianco a me, al lato della porta, c’era l’interruttore
della luce e istintivamente lo accesi.
Guardai verso la statua e
trovai lo sguardo di Lorenzo a fulminarmi. Spensi la luce e scappai
di corsa da quel dannato posto”.
“Cosa c’entra Lorenzo con
la sacrestia?”
“Quella che pensavo essere una statua,
invece, era Lorenzo. Nudo. La sua mano era sulla testa di una donna,
inginocchiata dinanzi a lui.”
“Cazzo” incredulo, disse
Ugo.
“Merda” aggiunse Antonio.
“Hai riconosciuto chi
era la donna?”
“No, non l’ho vista bene, era dietro al
ripiano e tra le fessure ho soltanto intravisto la sua schiena
nuda.”
Ugo si alzò. Andò a prendere la bottiglia di whisky.
Riempì due bicchieri convinto che, per quell’anno gli sarebbe
toccato ricoprire il ruolo di Vice Direttore della filiale.
Poco dopo, quando Antonio uscì dall’ufficio, Ugo telefonò a Romina.
La donna gli sembrò entusiasta della notizia che ricevette: Antonio, suo marito, probabilmente non avrebbe più dovuto trascorrere intere giornate, fino a notte fonda, negli uffici della En&Co.
“Sei sorpresa?” chiese Ugo.
“No. Sono in auto” disse lei.
“Dai, non scherzare. Ti ho chiesto se sei sorpresa.”
“Secondo te?” disse lei, di rimando.
“No” rispose lui. “Secondo me sei stata tu a fare questa richiesta a Lorenzo.”
“Dici?”
“Dico.”
“Dillo allora.”
“Sì. Sono convinto che la richiesta di non vincolare troppo tuo marito con gli impegni di lavoro, non gliela hai sussurrata all’orecchio. Ti sei attaccata al suo microfono e non ha saputo dirti di no.”
Ugo udì la frenata della macchina che inchiodava di botto. Temette di sentire anche lo schianto della Smart. Invece, fu investito dalla fragorosa risata di Romina.
Si sentì sollevato, contagiato dall’umore della donna che anche lui conosceva benissimo da tanto tempo. Romina, capace di donarsi a molti ma di amare soltanto il suo Antonio.
© Saro Fronte. Racconti
Edizione pubblicata nella rivista HYSPICAEFUNDUS – NR. 29 dell’aprile 2020