Contra L'Amore

Amore vorrei interrompere l’incubo che mi porta lontano da te.
Certo la mia terra adesso è una terra che seduce, sputa colori magnifici, profumi e i respiri che vengono dagli abissi, nelle strade, nei cipressi scolpiti lungo i sentieri che conducono al mare, una terra in festa ma, ti sono lontano in questo momento e nonostante soffri come neanche un dannato sotto il ferro e il fuoco del demòne, sono felice d’amarti perché, comunque, mi hai riconosciuto, destinati oltre limite.
M’apparve la paura di ogni disperdimento, d’un fragello, di una lama. Abbraccerò le zagare e il gelsomino e la rena e il bosco di mimose e l’immenso. Abbraccerò il risveglio stamane, ‘mane meraviglia, e gli occhi accoglieranno come guardassi la prima volta un mondo. Splendore. Luce al risveglio dell’amore. L’ulivo del nutrimento e della luce era dai Greci consacrato a una donna. E l’aria si spande col profumo d’un fiore piccolo e bianco.
Buona notte amore.
Verso Catania, 27 marzo 1994 accecati gli occhi il giallo limone, l’arancio di gelsomini africani, di fiore d’ogni lume e forma dei fichi e dei verdi di mare, rifletto quello splendido viso e quel bacio mattina, quale sapore! Poi: uscito ed immerso nella strada osservo il cielo perciato dalle stelle, l’infinità di esse, brillanti più del giusto, le masse lunescenti, le scie, le Plèiadi, le Orse e, canto l’amore, il nome Splendore.
Cerco di comprendere un testo, d’esporlo in un ballatoio dipinto di rosa.
Ho visto ieri mentre con fatica salivo ma, alla vista, come un campo accoglie l’erba, la giusta e la selvatica, il corpo si proclamò steso nel tepore della pietra gialla, di perla la crosta. Così ho lavorato finalmente! Ho visto i rondoni volteggiare tegole e portare cemento e ferro, un novo fruscìo. L’albero era il noce. Così dice: togliere di mezzo la confusione delle emanazioni, l’onda del putridume. E’ stato il putrido ad abbracciare i contorni di una natura tipica della socialità. E le mie mani sono sporche, le narici infette dal puzzo. Il mio stomaco in rivolta vomita budella, i buchi del corpo. A mezzodì a Ispica c’era un’ora per il risveglio, un’ altr’ora ove s’incontrano le bocche.
C’è un mormorio di paese e il sole colpisce la pelle con insolita violenza.
Nell’ombra ritrovo lo sguardo di occhi belli.
Togliti la maschera adesso, è ora di pranzare!