Libera Stampa In Libero Stato. O No?

scheda-elettorale.jpgFa molto riflettere l’atteggiamento del nostro Paese rispetto al giornalismo d’inchiesta. Ognuno reagisce come sa fare, mi si può dire. Ed è vero. In Russia le giornaliste scomode si uccidono, cosa che peraltro da noi è avvenuta anche di recente, basta citare i nomi di Alfano, Fava, Tobagi: la differenza sta che lì la “catena di comando” istituzioni-esecutori sarebbe, dico sarebbe, più corta che da noi. In Italia da un po’ di tempo a questa parte i giornalisti scomodi si cacciano o si inquisiscono. E’ giusto che la magistratura eserciti il suo dovere di individuazione e punizione dei reati. L’azione penale in Italia è obbligatoria, così come va detto che è garantito il giusto equilibrio accusa-difesa, se no non si finirebbe assolti come accaduto sistematicamente (e per fortuna) a Milena Gabanelli di Report. Lascia perplessi l’elastica considerazione del concetto di privacy: restrittiva (oltre che discutibile) per quanto riguarda i nostri parlamentari nazionali che hanno immediatamente reagito con un censorio spirito di casta all’inchiesta delle Iene sul consumo di droghe leggere in parlamento e restrittiva (oltre che illegittimamente ignorata) per Carlo Bonini di Repubblica cui è stato sequestrato (illegittimamente, come accertato dal Tribunale del riesame) il computer portatile nell’ambito dell’inchiesta sull’intreccio perverso fra Servizi segreti dello Stato e Security di Telecom.

E’ poi singolare che negli Stati Uniti si arrivi a fare una ricostruzione meticolosa e documentata dell’“11 settembre” spingendosi al punto che l’attentato alle Torri gemelle sia frutto di un complotto interno al sistema di potere instaurato nella e con l’amministrazione Bush per potere giustificare il ricorso alla Guerra preventiva senza per questo tacciare chi ha confezionato l’inchiesta come “diffusore di notizie false e tendenziose e turbatore dell’opinione pubblica” come accaduto, in Italia, ad Enrico Deaglio e a Beppe Cremagnani. La vicenda è nota. I nostri sono finiti indagati perché hanno detto (e denunciato con un film) che è oltremodo strano che il numero delle schede bianche in un’elezione generale sia crollato a percentuali risibili in modo uniforme in tutt’Italia. Hanno anche fatto rilevare la particolarità della concitazione in alcune fasi dello spoglio ai piani alti dello Stato, ipotizzando la manipolazione dei dati finali nel sistema informatico del Ministero degli Interni per attribuire a Forza Italia migliaia di schede bianche. Capisco che la materia è ad alto potenziale: la probabilità di brogli alle elezioni politiche di un paese come l’Italia, che non è certo il Bangladesh, è un fatto di forte impatto anche internazionale. Dico subito che il giornalismo d’inchiesta, a tutti i livelli, è una sorta di razza in via d’estinzione. Ma, per quanto poco venga fatta, che inchiesta è quella che non mette in discussione persone e fatti, che non stimola dubbi, che non si limita a dire che il re è nudo ma che va a dire chi lo ha spogliato? Sicuramente c’è un cortocircuito fra libera stampa ed istituzioni. Il diritto di cronaca e di inchiesta da noi è mal tollerato. Peccato, perché quanto più è profondo l’esercizio di questo diritto, tanto più viene soddisfatto un altro diritto, quello all’informazione dei cittadini.

6 Comments

  1. Concordo. Ed estendo la riflessione più in generale al campo del rapporto che hanno i politici con quelli che “parlano di loro”. Negli USA questo rapporto è senza dubbio molto più disteso. Bush non solo non querela i teorici della cospirazione dell’11 settembre, ma si lascia anche prendere in giro dal suo sosia, fino a fare con lui uno spettacolino satirico (cosa che ha avuto un certo impatto qui in Italia, se i quotidiani più importanti ne hanno parlato in prima pagina). Michael Moore è oggi in America un uomo libero (a quanto mi risulta l’ha querelato solo un veterano della guerra in Iraq per un’intervista “aggiustata” su Fahrenheit 9/11), continua a produrre i suoi documentari e sta per sfornare Fahrenheit 9/11 e 1/2, che è un’analisi del secondo mandato di Bush.
    Qui no. Qui sono tutti pazze isteriche, guai a dirla o a farla un po’ più grossa. E quando dico tutti intendo tutti. Non dimentichiamoci la reazione del nostro governo al “Prodi rap”, la sommossa degli scranni, l’urlo al “vilipendio”, che figura da cioccolatai…
    Non so se per spiegarmi questa cosa devo ricorrere ai luoghi comuni più deprimenti come quello che gli italiani abbiamo “la testa calda”. Spero di no. O forse di sì.
    Il film di Deaglio non l’ho visto, quando lo vedrò mi farò la mia idea, o meglio, le mie domande. Per ora assisto allo sbrandellamento del giornalista, che (conseguenza immaginabile) a torto o a ragione sta diventando un mezzo martire della libertà di pensiero.

  2. In un paese normale non sarebbe Beppe Grillo il maggior “giornalista” di inchiesta. O, No? Giornalista senza eco sulla stampa, tra l’altro. Miracoli di un blog.

  3. La tua, caro Gianni, è una certificazione di “morte presunta” del giornalismo d’inchiesta causato dalla mal tolleranza?
    Ho letto più volte il tuo post e (forse sbagliando) ho intravisto una analisi che tende a ricercare nell’atteggiamento della classe dirigente italiana la causa dell’avversione e, in certi casi, dell’ostracismo nei confronti del diritto di cronaca e di inchiesta.
    Una analisi un po’ “di parte” che, in molti punti, assomiglia a quello “spirito di casta” che tu hai citato parlando dei politici e delle Iene. Forse che i giornalisti sono, come suggerisce Clara, dei “mezzi martiri della libertà di pensiero” e, quindi, degni di assurgere agli onori degli altari? Né, a mio avviso, le diversità di atteggiamento tra Stati Uniti ed Italia possono essere una giustificazione alla tua tesi. Al massimo, in questo caso, potremmo parlare di una “differente sensibilità” frutto di una “diversità culturale”.
    A mio modo di vedere cause e colpe di questa “morte presunta” vanno ricercate proprio all’interno del mondo giornalistico, delle sue incongruenze e del suo aver travisato i concetti di “informazione” e di “libertà di pensiero e di espressione”, deviando da quel percorso che i vari Fava, Alfano e Tobagi (da te citati) avevano contribuito a costruire.
    “Est modus in rebus”, dicevano i latini. Ed è proprio sul “modus” che il giornalismo italiano dovrebbe riflettere ed interrogarsi prima di puntare il dito ed addossare le tutte le colpe agli altri.

  4. L’esistenza, in Italia, dell’Ordine dei giornalisti sta a dimostrare che la categoria si vuole connotare come una corporazione, il che non mi pare giusto, pur essendo io giornalista iscritto a quell’Ordine di cui potrei fare volentieri a meno e del quale, qualora finisse soppresso, non sentirei la mancanza. Il problema, Pietro, sta in quello che ho definito “cortocircuito”. Perché il giornalista da cronista, da autore di profondi reportages, finisce spesso sotto inchiesta (penale e civile) lui stesso? Ho visto “Uccidete la democrazia”, il film di Deaglio e Cremagnani. Vengono messi insieme elementi che rendono chiaro lo scenario di una notte terribile per la nostra democrazia, quella del 10 aprile, e di come sia stata giocata una partita a scacchi tutta interna al governo in carica allora, nella quale entrò alla fine anche l’opposizione e della quale anche Provenzano, con il suo arresto, fu pedina importantissima. Ebbene la precisione di quella ricostruzione, il collegamento di vari tasselli, il contributo di esperti, il tutto è tale che i dubbi vengono. Deaglio e Cremagnani sono adesso indagati, per avere denunciato delle cose con tanto di spiegazione e di due più due uguale quattro. Perché Berlusconi continua a parlare genericamente di brogli e nessuno lo chiama, come quando fu per le accuse sulle coop in campagna elettorale? C’è un “modus”, una misura anche secondo me. Credo però che sia piuttosto al ribasso. E questo spiega l’assenza, la rarità del giornalismo d’inchiesta.

  5. Gianni, Ora non sto qui a prendere le difese di Berlusconi (così non corro il rischio di sembrare un “berlusconino” oltre che un “papalino”) anche perchè il nocciolo della questione non credo vada ricercato su una contrapposizione/confronto tra l’agire di Berlusconi e l’agire di Deaglio e Cremagnini. Il primo, infatti, insiste nell’attuale condizione in cui versa il “confronto” nella politica (il che, per onestà intellettuale, ci costringerebbe ad iniziare una disquisizione che tirerebbe in ballo un sistema bipartisan). Il secondo, invece, è di tutt’altra natura e, a mio modo di vedere, rappresenta uno dei tanti esempi di “devianza” del giornalismo d’inchiesta.
    Non ho visto il DVD di Deaglio e Cremagnini (come non ho visto quello di Santoro su Cuffaro dove, da quello che mi dicono, pare che compaia anch’io in qualche scena) e, in tutta sincerità, non credo che sia necessario vederlo per giungere alla conclusione che si tratti, nella migliore e più buona delle ipotesi, di una “goliardica montatura”. Non voglio, però, dilungarmi sulla questione e, quindi, mi limito ad una breve e semplice riflessione in merito. Ammettiamo per ipotesi (perchè di ipotesi dobbiamo parlare fino a quando non ci troviamo davanti alla certezza della prova) che sia realmente esistito quel programmino che modificava i dati elettorali che arrivavano dalle Prefetture. Ammettiamo pure che, l’allora ministro Pisanu ed i suoi collaboratori, si siano dilettati in una insolita “moltiplicazione dei pani e dei pesci” ed abbiano diffuso dati palesemente falsati. “Qui prodest”? A chi avrebbe dovuto giovare un simile dispendio di energie mentali e fisiche? Sarebbe stato tutto lavoro inutile visto che, per come funziona la legge, i dati ufficiali e la proclamazione degli eletti viene fatta dalla Cassazione sulla base dei verbali delle sezioni e non su quelli forniti dal Ministero degli Interni. A questo punto dovrei iniziare ad ipotizzare un complotto dove la magistratura (a partire dai tribunali) si sia messa a falsificare i verbali delle sezioni e, perchè no, tirare fuori l’ipotesi di dieci, cento, mille “Mitrokin” che, invece di trascrivere, provvedevano a…. devo continuare?
    Tornando al tema centrale del post, ribadisco, invece, la necessità di una seria ed approfondita riflessione sul ruolo del giornalismo (non dei giornalisti) e, nella fattispecie, su quello d’inchiesta. Al giorno d’oggi, con un PAese diametralmente diviso, dovrebbe essere proprio il giornalismo a non tollerare lo sbandierare continuo del “diritto di cronaca” e della “libertà di espressione e di pensiero” per giustificare (o tentare di giustificare) sommari processi di piazza. Bada bene, Gianni, non mi riferisco solamente a Santoro, Deaglio, Cremagnini e Floris, ma a tutti quei giornalisti che, per fare “giornalismo d’inchiesta”, ritengono di poter incarnare nella loro persona il ruolo inquirente ed, al contempo, giudicante. Penso, per esempio, alla Franzoni, al “caso Cogne” ed ai fiumi mediatici di parole che hanno preceduto la sentenza.

    Ad maiora.

  6. Il Senato ha deciso nel pomeriggio che siano ricontate la schede bianche, nulle e contestate in alcune regioni, fra le quali figura la Sicilia. Un bel risultato di un bell’esempio di giornalismo di inchiesta. Ovviamente non c’è solo quello buono. Desidero solo ripetere che non ce n’è abbastanza, tutto qui.

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