… a quel Paese

Capita di andare al cinema di quel Paese, se per qualche scena del film “quel Paese” è anche il tuo.Andiamo-a-quel-paese

Capita di divertirsi, di riflettere, di sbellicarsi dal ridere e di tifare per i personaggi di Salvatore Ficarra e Valentino Picone, fino a lasciarsi coinvolgere totalmente dalla loro storia, dove oltre a qualche scorcio del tuo paese c’è anche tanta similitudine con ciò che accade intorno alla tua vita. Dove la corsa al “petrolio” da parte dei giovani, la fonte di ricchezza per vivere o sopravvivere, è davvero rappresentata dal riuscire a mettere le mani sulla pensione dei nonni, degli zii o di qualche caro parente (nella migliore delle ipotesi).

Capita di assistere ad un film gioioso e ben fatto, dove non la tiri lunga e ammicchi compiaciuto fino al finale dove, con Salvatore e Valentino, percorri i corridoio del palazzo “Nobiliare”. Un luogo che è persino disagiante per la raffinata impeccabilità, dove si sta per svolgere il rituale per la conquista della agognata “raccomandazione”.

Come in una processione: attraversando porte che aprono su stanze, verso altre porte che aprono su altre stanze, fino a giungere nella stanza del “dunque” e scoprire che si è arrivati a un “punto morto”, con tanto di feretro del “Titolare”!

E lì, il film poteva finire con dignità. Senza il servilismo dell’affermare in pseudo satira che bisogna continuare a pregare i corrotti e i corruttori, i faccendieri e gli affaccendati, in buona sostanza la stesse persone di “merda” di sempre – nelle stesse modalità di sempre – per avere la possibilità di guadagnarsi da vivere lavorando.

Decisamente: No. Il messaggio finale non mi è calato e lo rigetto, senza nulla togliere allo sbellicamento di tutto il resto del film che quell’infelice e breve finale ha preceduto.