Degas

Ieri un temerario che ha avuto l’ardire di procurarsi una copia di FitusoVirus 2020, che mi è sembrata una scelta inusuale dato che il temerario è anche un mio compaesano e istintivamente ero stato portato a pensare che questi stesse riferendosi a Bouquet, quando mi ha detto che aveva iniziato a leggere un mio libro.

Sono rimasto sorpreso e volentieri ho risposto ad una sua curiosità su chi fosse Edgardo Stellin: dato che a questa persona, alla sua memoria, ho dedicato il libro FitusoVirus 2020.

Edgardo Stellin, fu un prete che incontrai a Rovigo nel 1989, era un cappellano che aveva il grado militare di capitano e prestava il suo servizio nella ditta in cui mi apprestavo a lavorare in quell’anno.

In quella mia esperienza a Rovigo – in quei sui primi giorni – ero tra centinaia di giovani piovuti da tutte le parti d’Italia, per affrontare la formazione militare richiesta dalla ditta ed io, in quella situazione, conoscevo soltanto un’altra persona perché si trattava di un mio paesano. Un altro Spaccafornaro, con questa persona non avevamo avuto contatti recenti in paese, ma ci conoscevamo perché da giovanissimi entrambi ci eravamo cattolicamente formati dentro la parrocchia di Santa Maria Maggiore, sotto l’ala di padre Mansueto. Poi crescendo mi ero allontanato dalla parrocchia, quando con la scuola avevo conosciuto il paese e la città di Modica.

Una delle prime sere lì a Rovigo, il paesano mi disse che era eccezionale il prete che la sera celebrava messa. Io gli risposi che oramai da anni non mettevo piede in chiesa per seguire una messa, ma ci entravo invece volentieri per guardare la struttura e cosa contenesse. Intanto camminavamo nei corridoi e lo accompagnai fino alla porta della chiesa interna ad una pluri caseggiato collegato da corridoi immensi. La struttura immensa era stata un moderno seminario di tutto il Veneto. Una chiesa di una certa importanza quella interna, visto l’uso che se ne faceva un tempo: moderna ma con aria di sobrietà e tocco raffinato.

Ci salutammo con il paesano e rimasi fuori nell’ampio corridoio antistante l’ingresso. Ascoltavo da fuori, il paesano mi aveva garantito che il prete sembrava una figura interessante! Ad un certo punto non resistetti e durante quella messa entrai, il richiamo della musica era stato destante e mi aveva trascinato a muovere quei passi che mi separavano dalla visione interna, nella direzione dell’altare.

Cantavo pure io quando entrai:

 “Ti vesti svogliatamente
Non metti mai niente che possa attirare attenzione
Un particolare, solo per farti guardareee …”

E con la faccia pulita entrai in chiesa cantando cantando, ritrovando una masnada di picciotti tutti – come me rasati a tre millimetri di capelli -, che appresso alla chitarra cantavano Vasco Rossi, invece delle classiche canzoni della messa a cui fino ad allora ero abituato.

E sull’altare c’era lui con i suoi paramenti da prete: che dietro agli occhiali in celluloide quadrati se la godeva con quella faccia rubizza che mi pareva un massaro modicano.

Insomma la mesa finì e defluirono i più appresso al parrino. Rimasi solo in chiesa e mi pigliai la chitarra: ché chi se lo doveva immaginare di poterne avere una in mano durante un corso di addestramento militare, specie nei primi giorni!

E, niente mi misi a fare i soliti quattro giri armonici che conoscevo e mentalmente mi cantai qualche ritornello. Un lampo mi distrasse dagli occhi chiusi che avevo. Guardai e vidi che il prete ormai in abiti civili con la crocetta sul bavero della giacca mi aveva fotografato. Aveva in mano una Minolta elettronica che non avevo mai visto dal vivo, ma sapevo tutto da quel che avevo letto sulla rivista specialistica sulle macchine Reflex. La macchina fotografica divenne il nostro argomento e da lì a pochi giorni: mi aprì una stanza con dentro la camera oscura per stampare il bianco e nero.

Una stanza che nessuno usava da anni, ma perfettamente attrezzata.

Mi ci buttai dentro nel fine settimana e la domenica presentai al Don una pila di foto in bianco e nero che avevo scattato durante quei due giorni prima, da quando ero stato autorizzato all’uso di quello strumento fotografico. Mi ero scatenato a fotografare gli altri avventori del casermone, tutti gli altri giovani che incontravo tra le mura della struttura. E Edgardo Stellin aveva fatto un grande passo per coinvolgermi tra i suoi stretti collaboratori, per quell’anno che avevamo da trascorrere tutti insieme.

Col paesano organizzammo la creazione di un presepe di grandissime proporzioni, d’altronde lui era abituato a lavorare nella creazione di quello sull’altare di Santa Maria e aveva immaginato qualcosa di altrettanto appariscente. Facemmo quel preseppe direttamente nell’androne principale della struttura e si trattava di una grande sfera che era il mondo che conteneva la natività.

Edgardo Stellin si firmava Degas perché si sentiva artista e tra gli Edgar artisti “Degas” era il suo simbolo di riferimento. Ne amava i quadri, e ricordo le riproduzioni di “le ballerine” e “la stella” appesi alle pareti del suo spazio privato.

Don Edgardo, Degas, è stata una figura molto importante che ha voluto infinitamente che io credessi in me, dato che il “Numro Unico”, un libro ricordo dell’anno trascorso, così come lo avevamo fatto, con quelle novità di netta rottura con le tradizioni del passato, era stato notato nei piani alti di Roma e c’era un certo interesse da parte di Degas a che finissi a lavorare a Roma non appena finito il corso. Don Edgardo si sarebbe potuto prendere tutti i meriti per quel lavoro del “Numero Unico”, ma invece con i piani alti di Roma lui disse che ero stato io a realizzarlo e fu così che ricevetti una lettera di compiacimento dell’allora titolare del Museo Storico della ditta per cui lavoro.

Edgardo sapeva che non sarei mai stato un fervente cattolico e avemmo molto tempo per parlare, pensare e discutere, e anche in questo ebbi molto da imparare da lui, dalle sue logiche di pensiero, dal profondo senso di libertà che aveva e si ritagliava anche con la curia che un tempo gli aveva impedito di collaborare a un film di quel comunista del regista Antonioni.

Ecco, Edgardo venne a Spaccaforno per celebrare le mie nozze e venne a Spaccaforno e conobbe Don Paolo che per quella occasione di avere Don Edgardo fece comprare un tappeto nuovo rosso fiammante, per il corridoio centrale della Basilica. Evidentemente, Salvatore, il giovane che con me trascorse quell’anno a Rovigo, aveva avuto modo di raccontare a Don Paolo della stravagante figura di prete che era l’artista Degas, al secolo noto come Don Edgardo Stellin, un cappellano militare con le stellette.

Buona Giornata.

Spaccaforno, 29 novembre 2021.

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