Letto di canne

Paola sentiva la porta di servizio che sbatteva piano, a intervalli regolari, nella brezza d’ottobre che soffiava per la casa. Il flusso dell’aria che entrava dalla finestra aveva contrastato piacevolmente gli sbuffi caldi di vapore del ferro da stiro, mentre il suono cadenzato lento sembrava le avesse dilatato lo scorrere del tempo. Incredula, si rese conto che non c’erano più panni da stirare dentro la cesta e ripose il ferro sopra il supporto della caldaia. Guardò oltre la finestra, dove lo scuro della sera impallidiva incontrando la luce accesa nella stanza. L’orologio a parete segnava le venti e trenta, e il battere della porta era tornato ad essere soltanto un fastidioso rumore.

Spalancò la due ante della finestra e una folata d’aria si riversò impetuosamente in casa, trascinando dentro due foglie di quercia ingiallite.

Lei stava pensando che era già tardi e non aveva nessuna voglia di sbrigarsi, anzi, non aveva alcuna intenzione di trovarsi tra un’ora a casa di un’amica, dove era stata invitata per una cena insieme ad altre persone.

L’ultima volta che aveva accettato l’invito era stata una serata deprimente, l’amica le aveva presentato un tizio, di cui non ricordava più nemmeno il nome, e questi le si era attaccato addosso come un’etichetta sulla maglia, di quelle che si ostinano a stare di traverso fino a quando un paio di forbici non le tagliano di netto.

La porta sbatté violentemente, il colpo secco fece sobbalzare la mano di Paola, che stava sfilando una sigaretta dal pacchetto. Richiuse la finestra, raccolse le foglie e uscì in giardino attraverso la porta di servizio.

“Non c’è nulla di male” ripeté a se stessa. Sua figlia avrebbe dormito fuori casa, ma questa volta le aveva detto che sarebbe rimasta in quella del suo ragazzo.

Si lasciò cadere sulla panchina e accese la sigaretta. Decise che non sarebbe uscita quella sera, a casa dell’amica c’era un debolissimo segnale per il telefono cellulare.

“Ehi, signora Paola, me la offrirebbe una sigaretta?”

Lei riconobbe la voce, guardò oltre la staccionata ed effettivamente in strada intravide la sagoma di Patrizio. Lo incontrava spesso nel parcheggio del supermercato intento a sistemare i carrelli della spesa, quelli abbandonati fuori posto dai clienti con ancora inserita la moneta da cinquanta centesimi. Tutte le volte che Patrizio si accorgeva di lei, la aiutava a sistemare la spesa in macchina, sapendo già che gli avrebbe concesso di andare a riporre il carrello e di guadagnarsi la moneta. Patrizio vestiva abiti passati di moda ma puliti, il suo aspetto non era trasandato nonostante la lunga barba. Ogni volta che lei lo vedeva si chiedeva chi fosse quel vecchietto, ma quando lasciava il parcheggio del supermercato si era già dimenticata di lui. L’uomo aveva un’età indefinita tra i sessanta che lo avevano consumato in fretta e gli ottanta portati ancora ben in salute. La sua pelle era rugosa certamente cotta dal freddo e dal sole.

Paola si avvicinò alla staccionata e porse la sigaretta all’uomo. Quando Patrizio accese la fiamma lei notò che lui aveva gli occhi arrossati e un insolito tremolio alle mani. Chiese “Non dovresti essere ancora al lavoro di sabato sera?”

“Mi sono licenziato, ieri.”

Lei sorrise nonostante non avesse colto ironia in quella risposta. Domandò “Come è possibile? Pensavo che tu fossi un lavoratore autonomo.”

“Diciamo che non ho più l’appalto.”

“Cosa è successo, signor Patrizio?”

“Vogliono una percentuale su quello che guadagno e non ho intenzione di pagare la tangente. Mi hanno ordinato di non continuare a sistemare i carrelli.”

“Ma chi, gli slavi?”

“Ma che slavi.” disse l’uomo “si tratta dei Vigilantes.”

“Brutto guaio, proprio loro. Dove stai andando, adesso?”

“Sto andando a casa. Grazie della sigaretta signora Paola”

“Ne vuoi un’altra per dopo?”

“No grazie, non fumo abitualmente. Soltanto una di tanto in tanto”

“Con chi vivi Patrizio?”

“Con mia moglie, con chi sennò?”

“Patrizio hai una moglie? Magari anche figli, nipoti”

“Sì. Ti meravigli di ciò?”

“No. No, pensavo che tu, come dire …”

“Pensavi che io fossi solo al mondo.”

“No, nemmeno quello, in effetti, non pensavo nulla. Dimmi, Patrizio, raccontami dei tuoi figli”

“Ne avevo una. Lorena viveva a Londra, ora non c’è più.”

“Mi dispiace.”

“Ho una nipote. Ogni estate viene a trovarci, è una brava ragazza di sedici anni e ha tanta voglia di studiare.”

“Ha l’età di mia figlia.”

“Hai una figlia, signora Paola?”

“Sì”

“Già, è vero. Adesso mi sto ricordando che prima venivi al supermercato insieme ad una ragazzina. E’ da parecchio che non la vedo con te.”

“Crescono, Patrizio. I figli crescono e non hanno più molto tempo per stare insieme ai genitori. L’importante è che continuino a fidarsi di noi, e noi di loro.” Paola esitò un attimo, pensando che la figlia di Patrizio non c’era più. Chiese “Come si chiama tua nipote?”

“Si chiama Marlene. Suo padre è un poco di buono e sono contento di poterla aiutare a crescere, pur stando distanti. Ogni mese le mando quanto riesco a racimolare giù al supermercato, per pagare la sua retta per il College.” Gli occhi di Patrizio erano velati di commozione.

“Lo berresti un bicchiere di vino insieme a me? Dai, Patrizio, entra in giardino.”

“Grazie Paola, volentieri. Sei una persona gentile.”

Paola rientrò in casa, indossò la giacca della tuta da ginnastica, prese la bottiglia del vino e i bicchieri, e ritornò fuori.

Patrizio si era seduto sulla panchina. Lei sedette al suo fianco.

Di fronte a loro in basso le luci dell’agglomerato commerciale creavano una chiazza intensa e opaca, mentre più in alto, sopra la collina, sorgeva una fetta di luna calante.

Rimasero in silenzio per alcuni minuti, sorseggiando dal calice.

Patrizio poggiò il bicchiere per terra e schiarì la voce “Vuol dire che a Marlene manderemo le nostre pensioni, quella mia e quella di mia moglie. Io ed Enza riusciremo a cavarcela lo stesso, in qualche modo.”

“Enza è tua moglie?” chiese Paola.

“Sì. Enza è mia moglie” rispose Patrizio. “Stiamo insieme da cinquanta anni. Ne abbiamo passate di cotte e di crude, insieme. La amo ancora. ”

“E questa è una fortuna, Patrizio. A dirlo così, può sembrare una banalità, ma pensandoci bene mi sono convinta che è l’amore a raddoppiare la nostra felicità quando splendono gioie, e a dimezzare il peso del dolore da portare, quando dalla vita ci piovono a dosso i veri guai.” La bocca di Paola rimase socchiusa. Poi sospirò, riprese fiato e continuò “Vedrai che riuscirete a cavarvela. Intanto potresti venire qui un giorno a settimana e prenderti cura del giardino. Ti va? Non posso darti molto, ma mezza giornata di lavoro posso offrirtela io.”

“Grazie Paola. Vedremo, ho passato una vita ad avvitare bulloni e il pollice verde è un ricordo di gioventù.”

Paola si accese una Sigaretta, Patrizio si accarezzava la barba.

Lui domandò “Tu non ce l’hai un marito, vero?”

“No. Ci siamo separati.”

“E, tua figlia, come ha preso la vostra separazione?”

“Mia figlia ha un buon rapporto con suo padre, anche se vive con lui un mese l’anno.”

“Non vuoi parlarne? Mi pare di capire”

“Non mi metto in mezzo tra mia figlia e suo padre. Preferisco non avere più alcun rapporto con lui. Per me va molto meglio in questo modo.”

“Allora dimmi perché c’è tristezza nei tuoi occhi?”

“Traspare la tristezza?” chiese lei.

“Un po’’” rispose Patrizio.

“Non è tristezza. Mi ha colto di sorpresa mia figlia, oggi, quando mi ha detto che avrebbe dormito a casa del suo ragazzo.”

“Non dovrebbe? Pensi che ci sia qualcosa di male?”

“Ma figurati. E’ insensato che mi preoccupi oltremodo, le sono amica e questo deve bastarmi.”

“E allora fattelo bastare. Anche avere una madre per amica deve essere una fortuna per tua figlia.”

“Già!”

Il vento andava quietandosi e la serata era mite. Paola versò del vino nei bicchieri.

“Bevo questo e poi vado” disse lui, portandosi il bicchiere alle labbra.

“Affare fatto” rispose lei, prima di bere.

Lui chiese “Pensi che tua figlia farà l’amore per la prima volta?”

“Non so. Me lo dirà, immagino.”

“E tu, quando hai fatto l’amore per la prima volta?” Chiese Patrizio.

“Avevo diciotto anni. Erano altri tempi. E tu?”

“Io ne avevo ventuno e mia moglie venti. Erano altri millenni.”

“Millenni?”

“Eh, già. Guardando indietro mi sembra siano trascorsi millenni, da quel giorno.”

“Puoi dirmi soltanto una cosa? Dove è successo?”

“Laggiù” rispose Patrizio indicando la zona commerciale. “Era tutto un canneto che cresceva sul torrente, quello che sfocia nella darsena. Avevo costruito un giaciglio di foglie di canne, sopra i ciottoli, sulla riva.” Lui chiuse gli occhi e proseguì “I capannoni hanno spazzato via tutto, ma non i miei ricordi.” Sorrise.

“Deve essere stato romantico farlo su un letto di foglie di canne. Anche se non ho la più pallida idea di come possa essere davvero: l’impressione è di un giaciglio morbido”.

“Sì, fu un bel letto e adesso è un piacevole ricordo romantico, per me.”

“Anche per tua moglie lo è di certo.”

“Bah, forse” disse lui sorridendo, poi aggiunse “però quel giorno dopo aver fatto l’amore, io fui certo che mi amasse davvero”

“Avevi dubbi prima?”

“No. Però quando mi disse che la prossima volta avrei dovuto scegliere un posto meno puzzolente, mi misi a ridere capendo che era vero: nell’aria si respirava il marcio delle alghe, ed io prima non ci avevo fatto nemmeno caso.”

“La volta dopo sceglieste un altro posto?”

“No, fu l’indomani nuovamente in riva al fiume, ma questa volta nemmeno lei si accorse dell’odore stagnante.”

Risero entrambi.

Si salutarono con una calda stretta di mano.

Patrizio tornando a casa pensava che non sarebbe stato gravoso da sopportare quel sacrificio che avrebbe diviso insieme a sua moglie, per mandare tutti i soldi della pensione alla nipote Marlene.

Paola sistemando la biancheria nei cassetti pensava che le sarebbe piaciuto fare l’amore su un letto di foglie di canne e riuscì a sorridere scacciando i timori per quella notte che sua figlia avrebbe trascorso fuori casa.

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